Le mie (prime) 5 ore a Milano: sole, buon cibo, posti belli e trallallà

Città che da anni volevo vedere, Milano mi ha sempre affascinato moltissimo, per i suoi mille eventi, per i musei e per i  nuovi locali che aprono continuamente. Dopo l’ultima Design Week (di cui vi ho parlato in questo ed in quest’altro post) alla quale per mia sfortuna non sono riuscita a partecipare, avevo una gran voglia di visitarla. Così ho comprato un biglietto del treno, ho convinto due mie care amiche e sono partita, complici sicuramente questo lungo ponte e le belle giornate. Quello che ho trovato è stata un’esperienza che è andata ben oltre le mie più rosee aspettative: Milano è una città cosmopolita e multitasking, un ambiente stimolante che affascina per la sua capacità di essere italiana e internazionale allo stesso tempo.

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Il Grattacielo Pirelli, o “Pirellone”

Appena scesi dal treno e usciti dalla bellissima stazione di Milano Centrale, non si può non rimanere colpiti dal Grattacielo Pirelli che svetta sopra tutto e attira subito l’attenzione.

Con l’ora di pranzo che avanzava e il languorino che iniziava a far capolino (i treni AV sono comodissimi ma per non partire all’alba sei comunque costretto ad arrivare ad un’ora un po’ strana) un’idea ottima è stata quella di avvicinarsi al Parco Sempione, per ammirare il Castello Sforzesco e il Palazzo dell’Arte, sede della Triennale, e dirigerci nel quartiere di Chinatown per provare un posto che mi ispirava da un po’ nel quartiere multietnico di Milano che nell’ultimo periodo sta vivendo una fase di grande rinnovamento.

oTTo, Via Paolo Sarpi 10

Aperto pochi anni fa da un gruppo di amici under 40, oTTo è uno spazio accogliente come un salotto in cui leggere una rivista sorseggiando un caffè ma anche pieno di spunti e stimoli nuovi. Ho conosciuto questo locale grazie a Gnam Box, un progetto di due ragazzi milanesi con un sito e un account Instagram bellissimi (che da poco hanno anche pubblicato questa utilissima guida su Milano che ho portato con me). 

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photo credit: oTTo
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photo credit: oTTo

Noi abbiamo provato il fotografatissimo brunch del weekend: un tagliere (rigorosamente di legno e quadrato) in cui trovano spazio oltre al famoso “quadrotto” di pane integrale con sopra ogni bene di Dio, patate arrosto, frutta, yogurt con miele e mousse al cioccolato e biscotto, acqua e caffè inclusi nel prezzo. Il locale è ampio e luminoso, con grandissime vetrate affacciate su una piazzetta adiacente alla più affollata Via Sarpi. All’interno arredi di recupero, come sedie e tavolini in legno e formica che ricordano quelli delle scuole, poltroncine in pelle e mobili color carta da zucchero, si mixano con un bel pavimento in cemento industriale e un’illuminazione contemporanea e divertente fatta di lampade a sospensione e scritte al neon. Per rendere tutto più green non possono mancare piante dappertutto e una simpatica parete coperta da vasi di rampicanti. Insomma, un posto che se abitassi a Milano sarebbe certamente tra i miei preferiti (e più frequentati!). Se capitate a Milano dovete assolutamente provarlo!

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Uscite di lì una capatina veloce alla vicina Fondazione Feltrinelli e un’altra passeggiata al parco prima di dirigerci verso la metro in direzione Largo Isarco, a sud di Milano.

Anche se solo per poche ore non potevamo perderci la nuova sede milanese della Fondazione Prada. Inaugurata nel maggio 2015 e progettata dallo studio di architettura OMA, guidato da Rem Koolhaas, espande il repertorio delle tipologie spaziali in cui l’arte può essere esposta e condivisa con il pubblico. E’ caratterizzata da un’articolata configurazione architettonica che combina edifici preesistenti, gli ambienti della Ex distilleria Società Italiana Spiriti, costruita negli anni ’10 del Novecento e tre nuove costruzioni (Podium, Cinema e Torre in via di completamento). Nel progetto coesistono quindi sia la dimensione della conservazione che quella della creazione di un nuovo spazio architettonico; le due realtà pur rimanendo distinte si fondono in un processo di continua interazione. Simbolo di questo rapporto fra antico e contemporaneo è la Haunted House, un preesistente edificio a quattro piani al centro del complesso che accoglie un’installazione permanente, completamente rimodernato e dipinto d’oro:  è diventato così luogo icona dell’intero polo museale.

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Vecchio e nuovo, orizzontalità e verticalità, bianco e nero, trasparente e opaco, chiuso e riflettente: un insieme di contrasti e complessità che arricchiscono e definiscono la nuova sede della Fondazione, creata da Miuccia Prada nel 1993 come istituzione dedicata all’arte contemporanea e alla cultura.

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Bar Luce, Largo Isarco 2

Dopo essere state abbagliate dai riflessi dorati della Haunted House non potevamo non entrare nell’altrettanto luminoso e celebre Bar Luce. Progettato dal regista Wes Anderson, ricrea l’atmosfera di un tipico caffè della vecchia Milano. A differenza dei film del cineasta americano,  composti da un susseguirsi di “quadri” simmetrici, questo luogo, essendo stato pensato per essere vissuto e attraversato dinamicamente, non ha una prospettiva ideale, un’inquadatura privilegiata.

“Credo che sarebbe un ottimo set, ma anche un bellissimo posto per scrivere un film. Ho cercato di dare forma a un luogo in cui mi piacerebbe trascorrere i miei pomeriggi non cinematografici”.  Wes Anderson

La struttura metallica esistente è stata mantenuta così da fornire un rinforzo strutturale e permettere di conservare le superfici, quali il soffitto a volta che qui riproduce in “miniatura” la copertura in vetro della Galleria Vittorio Emanuele, uno dei luoghi-simbolo di Milano.

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Delle atmosfere tipiche dei capolavori del regista non manca niente: i colori pastello, le finiture in legno impiallacciato, gli arredi vintage come le sedute in ecopelle, i tavoli in formica, la carta da parati e persino il pavimento di graniglia ricordano l’estetica dell’Italia degli anni Cinquanta e Sessanta, oltre che le ambientazioni di film quali “I Tenembaum” o “Grand Budapest Hotel”.

E’ un luogo magico e surreale, in cui prendere un caffè o sorseggiare un chinotto, mangiare una torta o colorati ghiaccoli (dai gusti particolari come frutto della passione, cocco, mandorla) che trovano posto in un bellissimo freezer color rosa pastello. Io ne sono rimasta totalmente affascinata, da amante del vintage e dei film di Wes Anderson: non potevo non adorarlo!

Il breve tour a Milano non poteva concludersi senza aver fatto una capatina in Piazza Duomo! Immenso e bellissimo!

L’incontro con questa città non poteva essere più piacevole e divertente; sono tornata affascinata dai suoi palazzi e dai suoi locali e con la voglia di tornarci presto, magari per rimanere e iniziare una nuova fase della mia vita!

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Arrivederci, Milano ciao!

Ditta artigianale Oltrarno, caffè e modernariato. 

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50 Sfumature di Caffè Macchiato =)

Diventato senza ombra di dubbio un punto di riferimento per la mia pausa pranzo dal lavoro (quando non mi porto la mia schiscetta, di cui vi parlo qui), questo locale dall’atmosfera retrò è un indirizzo che non può mancare nella lista dei migliori bar di Firenze. Dopo il successo del locale “madre” di Via dei Neri, aperto nel 2014, Francesco Sanapo, proprietario e artigiano del caffè, ha deciso di raddoppiare (anzi triplicare, con Ditta alla Compagnia, di cui vi parlerò più avanti) aprendo in Oltrarno, il quartiere più vivo e, ovviamente, “artigiano” della città.

Ditta artigianale

Come da tradizione nella storia della caffetteria, l’interior design è stato affidato allo studio fiorentino Q-bic, dei fratelli Luca e Marco Baldini, già autori del restyling del bar di Via dei Neri e di numerosi altri locali fra cui il bellissimo La Menagére; il leitmotiv del concept ruota tutto attorno agli anni ’50, dato dai colori caldi del legno e del ferro, dall’arredo di modernariato e dalla carta da parati dalla texture geometrica in perfetto stile vintage. Infatti l’edificio che ospita il locale è un’opera dell’architetto Giovanni Michelucci che progettò il palazzo per residenze e negozi nel 1954, su commissione della società Ina, all’interno del più ampio piano di ricostruzione della città del dopoguerra.

Oltrepassate le vetrate di accesso si entra nella sala bar vera e propria dove dietro un lungo bancone trova posto la grande macchina da espresso Marzocco, dal design vintage, e la collezione di miscele di caffè provenienti da tutto il mondo selezionate dal bar man Francesco Masciullo, di recente proclamato “Miglior barista d’Italia” al Sigep di Rimini. Ma non solo caffè: Ditta Artigianale si è sempre distinto nel panorama fiorentino anche per la fornitissima lista di Gin (che io non bevo, ma i comuni mortali si), con una selezione di oltre 150 etichette provenienti da tutto il mondo fra i quali il Gin Vallombrosa dei monaci di Vallombrosa e il “Peter in Florence” signature gin firmato Ditta Artigianale creato nella lab distillery di Pelago (tra le colline fiorentine).  Sopra al bancone pendono due grandi lampadari in ferro, dalla forma astratta e filiforme (simili a Wireflow di Vibia) che caratterizzano l’ambiente e si sposano perfettamente con i mobili buffet anni ’50 e il pavimento in marmo, creando un mix interessante tra vintage e contemporaneo.

L’ambiente è grande ma accogliente (circa 220 mq di superficie distribuiti fra piano terra e soppalco), contraddistinto dal grande bancone in legno e ferro che corre lungo le vetrate d’ingresso fungendo da lungo tavolo “social” con sgabelli alti foderati in velluto grigio perla. Delle stesse (50) sfumature di grigio è anche il pavimento a mosaico della zona ristorante, in cui tavoli di recupero in ottone e formica bordeaux si accompagnano con sedie foderate con tessuti pied-de-poule bianchi e neri. Al piano terra non mancano zone più intime dove sorseggiare un fumante caffè sulle poltrone São Paulo (Maison du Monde) in velluto verde smeraldo e giallo che danno un frizzante tocco di colore all’ambiente.

Poltroncine Sao Paulo by Maison du Monde

Una scala elicoidale in ferro nero conduce al  piano del soppalco dove in un ambiente più riservato potete sorseggiare un thè, mangiare uno dei mille cupcake (con quella goduriosa crema al burro e chissàcosachecreadipendenza di Vanilla Cake) o connettervi con il vostro computer seduti sulle panche a parete rivestite del morbido velluto grigio di cui vi avevo già parlato poco fa.

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Fiore all’occhiello del locale (come se non bastasse tutto il resto) è anche il menù del ristorante, sempre aggiornato e in linea con la stagionalità dei prodotti. Troviamo il menù del brunch in cui non possono mancare pancakes, uova strapazzate con bacon, toasts di formaggio e salmone affumicato e i francesi croque madame/monsier declinati in più varianti, dal classico al vegetariano passando per il Tex Mex. Ma non solo: per pranzo non mancano i pici al ragù bianco, i tortelli con tartufo, Caesar Salad e hamburgers con patate arrosto artigianali e salsa harissa, per un gusto più internazionale e ovviamente godurioso. Per la cena il menù si arricchisce con piatti a base di pesce e verdure, come il salmone scottato con insalata di cavolo viola e uvetta,  la terrina di acciughe del Mar Cantabrico, l’aringa con mela verde e cipolla o le lasagnette di porri con mandorle tostate. Il bello è che a leggerlo sembra tutto molto buono e radical chic, e in effetti è entrambe le cose, ma soprattutto è molto buono!

Trancio di salmone scottato con insalata di cavolo viola, mela e uvetta
Caesar salad della Ditta
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Toast aperto con gamberi e guacamole
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Toast aperto con salmone e philadelphia
Croque Madame vegetariano
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Vellutata di zucca con crostini, tacchino saltato con funghi e sesamo e riso basmati
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Il fantastico caffè marocchino

Ditta Artigianale Oltrarno è un luogo dalle mille sfaccetture, perfetto per una colazione domenicale o un bruch con le amiche, ma anche per una pausa pomeridiana con la famiglia (bimbi compresi), per un dopo cena con gli amici (anche quelli più caciaroni) o con la dolce metà. Quindi che ci entriate per un buon caffè, per un croccante toast o per un super Negroni, tutto sarà perfetto per accogliervi e rilassarvi (se riuscite ad aprire la porta del bagno al primo colpo vincete anche un caffè gratis. Scherzo).

Non vi resta che provarlo.


Ditta Artigianale Oltrarno

Via dello Sprone, 5 r

Firenze

Schiscia si, ma di design!

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La schiscia (o schiscetta o gavetta o per i più international lunchbox o bento) non è solo il contenitore portavivande che si utilizza per trasportare il pasto già pronto per l’ora del pranzo, è una filosofia di vita.

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La parola “schiscetta”, di origine milanese, indica un portavivande, solitamente in metallo con coperchio, e trasportabile. Si chiamava così perché al suo interno il cibo stava “schiscià” (schiacciato) cioè un po’ pressato per il poco spazio. Conteneva infatti un pranzo completo: pasta, un secondo e un po’ di verdura.

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La schiscetta, ormai da qualche anno mia fedele compagna di pause pranzo, incarna lo stile di vita nomade di ogni giorno. Non ci accontentiamo più dei panini tristi e spesso poco salutari del bar, noi il pranzo ce lo portiamo da casa! E per quanto possa sembrare un’impresa ardua la preparazione in anticipo del pasto per il giorno seguente, con un po’ di organizzazione e di abitudine a fine mese i vantaggi ci sono, per la salute e anche per il portafoglio! Certo non è sempre facile inventare ogni giorno un piatto sano, gustoso e vario, ma con un po’ di forza di volontà, qualche valida ricetta jolly (come queste dei ragazzi di Gnambox o queste dal sito Schisciando) e con il contenitore giusto, la pausa pranzo non sarà più solo un ritaglio di tempo in cui addentare un panino al volo davanti al computer, ma un momento dedicato a noi da godere al 100%.

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Uno dei brand leader nella produzione di lunch box è sicuramente la francese Monbento: dal design allegro e accattivante, le bento box di varie capienze e colori sono in plastica BPA free, adatte al microonde e personalizzabili con molti accessori, dagli scomparti interni alle ciotoline per le salse di varie dimensioni, dai coperchi di ricambio alle posate o alle bacchette, perfette da inserire all’interno. Ma con la tendenza del ritorno alla schiscetta, numerosi marchi si sono dedicati alla creazioni di lunchbox dalle linee essenziali e contemporanee. Così abbiamo la Dabba (letteralmente lunchbox in Hindi) di Yanko Design, le scatoline di Ikea con le posate all’interno, le ciotole porta zuppa con tappo in sughero e cucchiaio a calamita di Black+Blum e ovviamente la tazze da viaggio della famosissima KeepCup. Non c’è che l’imbarazzo della scelta!


 1. Dabba box by Yanko design; 2. MB original color Matcha Monbento; 3. lunchbox con posate Ikea; 4. porta zuppa termico in acciaio inox e tappo di sughero Black + Blum; 5. MB Square per affamati Monbento; 6. tazza da viaggio della linea Spridd Ikea; 7. travel mug in plastica BPA free Keep Cup; 8. lunch pot con cucchiaio e tracolla Black +Blum

Ormai non ci sono più scuse: armatevi di buona volontà e di una schiscetta allegra e bella ed il gioco è fatto!

Le coccole del S.forno

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Esistono pochi posti in cui ci si possa sentire meglio che in casa propria, ma quei pochi sono speciali. Uno di questi è il S.forno. Sarà il tepore che si percepisce appena varcata la soglia, sarà quell’aroma di pane appena sfornato misto al profumo di burro e vaniglia dei dolci in cottura che ci accoglie dandoci il benvenuto, sarà l’atmosfera di convivialità che vi si respira, ma questo forno ha “quel non so che” che vi farà innamorare.

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Nato dalla sapienza enogastronomica dei soci de Il Santo Bevitorequesto forno-bistrot è una chicca dell’Oltrarno, in cui si possono trovare, disposti in scaffalature di legno, oltre alle prelibatezze sfornate da Leonardo e Milena, moltissimi prodotti bio a km 0, tipici della regione, ma anche eccellenze della gastronomia italiana, come i pelati S. Marzano, i succhi di mela del Trentino, la pasta Martelli, le conserve di Mariangela Prunotto. In quella Firenze che a volte sa essere troppo turistica a scapito della qualità, nelle viuzze e nelle piazze di questo quartiere si sta assistendo a una riscoperta dell’artigianalità, con attenzione ai prodotti locali e alla genuinità delle materie prime usate.

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Nel fondo di uno storico forno di quartiere (con alle spalle ben 150 anni di attività!), l’architetto Saverio Innocenti, autore già del restyling di numerosi bar-ristoranti nel capoluogo toscano e non solo, ha creato uno spazio che unisce il calore della tradizione ad un pizzico di contemporaneità, a metà fra il forno tradizionale e il bistrot alla francese. Qui infatti il pavimento in cotto grezzo e le volte dall’intonaco “sbucciato” sono quelle originali del vecchio forno, così come l’insegna che porta il sapore delle cose del passato. Tutti i mobili e gli arredi sono vintage, hanno una lunga storia alle spalle, una storia di arti e mestieri, che l’antiquario Luca Rafanelli della vicina Via dei Serragli ha saputo tramandare fino ai nostri giorni: il banco da macellaio, il tavolo ottagonale con i suoi cassettini di un orafo, un segna-presenze di un convento, le librerie e gli sgabelli con la loro bellissima patina data dal tempo.

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All’interno ci accoglie il bellissimo tavolo da macellaio  in legno, di quelli che hanno visto passare la storia, su cui trovano posto i salumi e i pecorini e un bancone con splendide vetrine dietro alle quali focacce, torte di ogni tipo, muffins, e molto altro strizzano l’occhio anche ai più salutisti. Il grande protagonista è ovviamente il pane dal più classico toscano a quelli a pasta madre a lunga lievitazione o ai cereali; ma non solo, schiacciate toscane, cecine, pizze e pani e dolci stagionali come la schiacciate con l’uva e alla fiorentina, pan di ramerino, cenci di Carnevale e frittelle di riso. Moltissime anche le proposte per la colazione e il pranzo: dal tradizionale pane e marmellata a plum cake e crostate frangipane, da panini con salumi tipici a quiches di verdure e crostoni fumanti, ce n’è per tutti i gusti.

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Un segna-presenze proveniente da un convento

Ogni dettaglio al S.forno è curato nei minimi particolari, dalle lampade che illuminano i tavolini, agli sgabelli scortecciati dal tempo, dalla lavagna di scuola su cui ogni giorno i fornai scrivono le specialità servite per la colazione e il pranzo, ai quadri appesi alle pareti, dai tavolini in ferro ai fiori sempre freschi nelle bottiglie di vetro.

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Per me andare dal S.forno è sempre una piccola coccola, un modo per farmi un regalo e assaggiare i deliziosi prodotti, sempre diversi e sempre buonissimi, che questo storico forno sa offrire, reinventato e rinnovato senza aver perso la sua vera essenza.


S.forno, panificio

Via di Santa Monaca 3/r

Firenze

Koto Ramen, un pizzico di Giappone a Firenze

foode-designCome prima coccola del nuovo anno ho deciso di concedermi un bel pranzetto da Koto Ramen, una delle ultime mie scoperte nel panorama etnico fiorentino. Aperto ormai da quasi un anno, entrare in questo locale è una vera esperienza.  Per chi di voi ancora non lo conoscesse il ramen è un piatto della tradizione popolare cinese, assorbito e reinterpretato dalla cultura giapponese, che lo ha fatto proprio. E’ così diffuso in Giappone che ogni località dell’arcipelago ne ha una propria variante. In sostanza è un piatto a base di tagliatelle di frumento servite in brodo di carne o pesce, spesso insaporito con salsa di soia o miso e accompagnato con carne, alghe, cipollotti e verdure varie. 


E’ un cibo dall’aspetto povero, apparentemente semplice da realizzare ma che in realtà, come la maggior parte dei piatti della tradizione giapponese, richiede il rispetto rigoroso delle fasi di preparazione e l’utilizzo di ingredienti precisi, quasi un concentrato di filosofia Zen, come il design minimalista del locale. 

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photo credits: Koto ramen

Gestito da quattro giovani ragazzi dal background eterogeneo, provenienti dai quattro angoli del globo, il concept del locale rispecchia la filosofia che sta alla base del piatto di cui porta il nome: minimale e contemporaneo, tutto è lasciato a vista, come gli ingredienti che vengono disposti accuratamente nelle ciotole piene di brodo e tagliolini.

All’interno ci accoglie una cucina a vista, in cui lo chef giapponese Shoji e il suo staff fanno uscire scodelle fumanti piene di ogni ben di Dio; all’ingresso le pareti bianche incorniciano il bancone sopra il quale, su quattro pannelli retroilluminati, sono dipinti gli ideogrammi ラーメン che formano la parola ramen. Alla nostra destra troviamo un lungo tavolo alto con sgabelli in metallo nero (simili ai Tolix), dedicato ai più “social” che amano condividere il bancone con altri o per chi desidera consumare un pasto velocemente. Sopra di esso è collocata una grande lavagna, come quelle che si vedevano nelle scuole qualche anno fa, dove appaiono scritte le istruzioni meticolose per gustare al meglio il ramen. La stanza è delicatamente illuminata da una lampada a bulbo, una delle tante disseminate per tutto il locale, che pende dal soffitto in legno e da all’ambiente un tocco industriale.

Lo stesso mood industriale è dato da una parete in cui la muratura è lasciata a vista, coperta semplicemente da un velo di bianco che lascia intravedere i mattoni e separa l’ingresso dalla sala vera e propria. Qui sono collocati i tavoli quadrati in legno chiaro e ferro su cui immancabilmente sono posati i bastoncini di bambù, riuniti insieme in un unico fascio quasi a formare una scultura in legno che ricorda il gioco del Mikado. Spogliato del controsoffitto è anche il solaio a travi lignee, lasciato a vista e sbiancato, da cui pendono, come stelle cadenti, le lampade a bulbo, segno di riconoscimento del locale.

Il concept del ristorante ruota tutto attorno a pochi e semplici materiali: il legno chiaro del parquet posato in diagonale e dei tavoli, il nero delle sedie e dei tocchi metallici delle travi a vista, il grigio del setto in cemento, il bianco delle pareti da cui traspare la muratura in mattoni. Pochi e sporadici i frammenti di colore, lasciati alle stampe giapponesi appese alle pareti e alla scritta a neon fuxia che dona carattere e contemporaneità al locale.

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Da Koto ramen non si gustano solo fumanti tagliolini in brodo di carne, ma anche sfiziosi gyoza, croccanti tempure e piatti stagionali, in cui la tradizione giapponese si fonde con ingredienti tipici della cucina toscana e italiana in generale, come tartufo, carne di Chianina o dolci a base di frutti autunnali come il diospero. Provare per credere!

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Shoyu Ramen
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Miso Ramen
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Ramen asciutto con macinato di maiale, germogli, peperoni e funghi

Koto Ramen

Via Giuseppe Verdi n. 52/r

Firenze

Carduccio, il salotto bio dello Sdrucciolo

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photo credit: Carduccio

In una strada stretta dal nome evocativo, Sdrucciolo de’ Pitti, che collega Via Maggio con Piazza Pitti appunto, si trova Carduccio, un piccolo bar ristorante biologico e vegetariano. Qui si servono frutta e verdura di ogni tipo (sempre di stagione ovviamente), cucinata sotto forma di insalate gustose, fumanti zuppe accompagnate da croccanti pepite di pane speziato, pinzimonio, sformati, crostoni caldi, estratti, smoothies e molto altro.

Carduccio ingresso

Carduccio logo

Appena entrati si viene accolti dal profumo dei piatti preparati da Miranda e Federica, le ragazze che gestiscono il locale. Tutto è a km 0, dalla frutta e la verdura in vendita all’ingresso, posta in cassette di legno, all’arredamento. Il bancone e gli sgabelli, disegnati su misura dai proprietari, sono stati realizzati partendo da un assito di legno recuperato dal pavimento di un vecchio negozio di Corso Tintori, una via a pochi minuti a piedi dal Carduccio. I tavoli, le sedie e le lampade invece provengono da negozi di antiquariato della regione, tutti in legno e ferro battuto, rigorosamente di recupero. Il servito da the è di porcellana originale inglese, vintage e raffinato.

Insalata di lenticchie, cetrioli, pomodori e cipollotto
Crema di zucca con pane croccante al curry
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Polpette di ceci e barbabietola su vellutata di spinaci e cumino
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Una tisana bio servita nelle tazze vintage inglesi

Una parola in più va spesa per il loro caffè: una miscela proveniente dal Perù, 100% arabica, selezionata da una torrefazione di Livorno, biologica e dal gusto intenso e aromatico, con note di miele e mandorla tostata. Da bere esclusivamente senza zucchero!

Se avete voglia di scaldarvi in una fredda giornata d’inverno, con una tisana rilassante o una zuppa saporita, Carduccio farà al caso vostro.


Carduccio- il salotto Bio

Sdrucciolo de’ Pitti, 10r

Firenze

#Raw. Un angolo di Scandinavia in Oltrarno

foode-designIn uno dei quartieri più veraci di Firenze, S. Spirito, che negli ultimi anni é stato oggetto di grande rinnovamento, diventando tra le zone più interessanti della movida e dello shopping fiorentino, sempre a metà tra l’indie e il sofisticato, sorge questo piccolo ma accogliente scorcio di Scandinavia. #Raw non è solo un ristorante, juice bar vegano ma un vero e proprio paradiso rigorosamente cruelty free e raw appunto (letteralmente “crudo” in inglese, cioè senza cottura, crudista). Oltre ad estratti di frutta e insalate variopinte, potete trovare burger, rice wrap, insalate di quinoa e grano saraceno, dolci, budini, smoothies, gelati, tutto dal sapore strepitoso. Ma non è solo la gola ad essere appagata in questo piccolo ristorante; ogni cosa è curata nei minimi dettagli, dall’arredamento al packaging, tutto all’insegna del healthy & eco in puro stile scandinavo.

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All’interno tra un “bosco” di betulle candide, ci accoglie un bancone in legno chiaro e vetro, dalle linee semplici ed essenziali in cui trovano posto le leccornie colorate che Caroline e le sue ragazze preparano ogni giorno. Dello stesso materiale  sono anche i tavoli e gli sgabelli, anch’essi progettati su misura con un design funzionale dal mood nordico. Le pareti e il soffitto sono “decorate” da una rete elettrosaldata a cui sono legati morbidi cuscini; dietro questa gabbia di metallo, strisce di tessuto bianco creano delicati giochi di luci e ombre. Quà e là pendono radici di zenzero e nuvole di muschio, sui tavoli candele bianche dentro barattoli di vetro aiutano a creare un’atmosfera accogliente e rilassante.

Raw

Entrare da #Raw è un’esperienza che soddisfa tutti e cinque i sensi: la vista, per i colori dei piatti e il candore delle pareti; il tatto, per la superficie liscia e levigata dei tavoli contrapposta alla dolce ruvidezza delle betulle; l’udito, per il piacere del silenzio e del relax del jazz in sottofondo; l’olfatto, per l’odore inconfondibile del cocco e dei datteri con cui la proprietaria prepara i dolci; il gusto per la scoperta di sapori e di ingredienti nuovi, abbinati in maniera sempre diversa e sfiziosa. (Raw) comfort food  in a comfort place.

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Veg burger con tapenade di carote
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Insalatona con lenticchie, quinoa, grano saraceno e verdure miste
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Raw vegan gelato: Banana e vaniglia & Lavanda
Pumpkin cake
Pumpkin cake con curcuma, zenzero e agrumi
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Raw vegan gelato: Cioccolato crudo & Banana e vaniglia

#Raw

Via S. Agostino, 11r

Firenze