Ditta artigianale Oltrarno, caffè e modernariato. 

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50 Sfumature di Caffè Macchiato =)

Diventato senza ombra di dubbio un punto di riferimento per la mia pausa pranzo dal lavoro (quando non mi porto la mia schiscetta, di cui vi parlo qui), questo locale dall’atmosfera retrò è un indirizzo che non può mancare nella lista dei migliori bar di Firenze. Dopo il successo del locale “madre” di Via dei Neri, aperto nel 2014, Francesco Sanapo, proprietario e artigiano del caffè, ha deciso di raddoppiare (anzi triplicare, con Ditta alla Compagnia, di cui vi parlerò più avanti) aprendo in Oltrarno, il quartiere più vivo e, ovviamente, “artigiano” della città.

Ditta artigianale

Come da tradizione nella storia della caffetteria, l’interior design è stato affidato allo studio fiorentino Q-bic, dei fratelli Luca e Marco Baldini, già autori del restyling del bar di Via dei Neri e di numerosi altri locali fra cui il bellissimo La Menagére; il leitmotiv del concept ruota tutto attorno agli anni ’50, dato dai colori caldi del legno e del ferro, dall’arredo di modernariato e dalla carta da parati dalla texture geometrica in perfetto stile vintage. Infatti l’edificio che ospita il locale è un’opera dell’architetto Giovanni Michelucci che progettò il palazzo per residenze e negozi nel 1954, su commissione della società Ina, all’interno del più ampio piano di ricostruzione della città del dopoguerra.

Oltrepassate le vetrate di accesso si entra nella sala bar vera e propria dove dietro un lungo bancone trova posto la grande macchina da espresso Marzocco, dal design vintage, e la collezione di miscele di caffè provenienti da tutto il mondo selezionate dal bar man Francesco Masciullo, di recente proclamato “Miglior barista d’Italia” al Sigep di Rimini. Ma non solo caffè: Ditta Artigianale si è sempre distinto nel panorama fiorentino anche per la fornitissima lista di Gin (che io non bevo, ma i comuni mortali si), con una selezione di oltre 150 etichette provenienti da tutto il mondo fra i quali il Gin Vallombrosa dei monaci di Vallombrosa e il “Peter in Florence” signature gin firmato Ditta Artigianale creato nella lab distillery di Pelago (tra le colline fiorentine).  Sopra al bancone pendono due grandi lampadari in ferro, dalla forma astratta e filiforme (simili a Wireflow di Vibia) che caratterizzano l’ambiente e si sposano perfettamente con i mobili buffet anni ’50 e il pavimento in marmo, creando un mix interessante tra vintage e contemporaneo.

L’ambiente è grande ma accogliente (circa 220 mq di superficie distribuiti fra piano terra e soppalco), contraddistinto dal grande bancone in legno e ferro che corre lungo le vetrate d’ingresso fungendo da lungo tavolo “social” con sgabelli alti foderati in velluto grigio perla. Delle stesse (50) sfumature di grigio è anche il pavimento a mosaico della zona ristorante, in cui tavoli di recupero in ottone e formica bordeaux si accompagnano con sedie foderate con tessuti pied-de-poule bianchi e neri. Al piano terra non mancano zone più intime dove sorseggiare un fumante caffè sulle poltrone São Paulo (Maison du Monde) in velluto verde smeraldo e giallo che danno un frizzante tocco di colore all’ambiente.

Poltroncine Sao Paulo by Maison du Monde

Una scala elicoidale in ferro nero conduce al  piano del soppalco dove in un ambiente più riservato potete sorseggiare un thè, mangiare uno dei mille cupcake (con quella goduriosa crema al burro e chissàcosachecreadipendenza di Vanilla Cake) o connettervi con il vostro computer seduti sulle panche a parete rivestite del morbido velluto grigio di cui vi avevo già parlato poco fa.

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Fiore all’occhiello del locale (come se non bastasse tutto il resto) è anche il menù del ristorante, sempre aggiornato e in linea con la stagionalità dei prodotti. Troviamo il menù del brunch in cui non possono mancare pancakes, uova strapazzate con bacon, toasts di formaggio e salmone affumicato e i francesi croque madame/monsier declinati in più varianti, dal classico al vegetariano passando per il Tex Mex. Ma non solo: per pranzo non mancano i pici al ragù bianco, i tortelli con tartufo, Caesar Salad e hamburgers con patate arrosto artigianali e salsa harissa, per un gusto più internazionale e ovviamente godurioso. Per la cena il menù si arricchisce con piatti a base di pesce e verdure, come il salmone scottato con insalata di cavolo viola e uvetta,  la terrina di acciughe del Mar Cantabrico, l’aringa con mela verde e cipolla o le lasagnette di porri con mandorle tostate. Il bello è che a leggerlo sembra tutto molto buono e radical chic, e in effetti è entrambe le cose, ma soprattutto è molto buono!

Trancio di salmone scottato con insalata di cavolo viola, mela e uvetta
Caesar salad della Ditta
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Toast aperto con gamberi e guacamole
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Toast aperto con salmone e philadelphia
Croque Madame vegetariano
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Vellutata di zucca con crostini, tacchino saltato con funghi e sesamo e riso basmati
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Il fantastico caffè marocchino

Ditta Artigianale Oltrarno è un luogo dalle mille sfaccetture, perfetto per una colazione domenicale o un bruch con le amiche, ma anche per una pausa pomeridiana con la famiglia (bimbi compresi), per un dopo cena con gli amici (anche quelli più caciaroni) o con la dolce metà. Quindi che ci entriate per un buon caffè, per un croccante toast o per un super Negroni, tutto sarà perfetto per accogliervi e rilassarvi (se riuscite ad aprire la porta del bagno al primo colpo vincete anche un caffè gratis. Scherzo).

Non vi resta che provarlo.


Ditta Artigianale Oltrarno

Via dello Sprone, 5 r

Firenze

Le coccole del S.forno

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Esistono pochi posti in cui ci si possa sentire meglio che in casa propria, ma quei pochi sono speciali. Uno di questi è il S.forno. Sarà il tepore che si percepisce appena varcata la soglia, sarà quell’aroma di pane appena sfornato misto al profumo di burro e vaniglia dei dolci in cottura che ci accoglie dandoci il benvenuto, sarà l’atmosfera di convivialità che vi si respira, ma questo forno ha “quel non so che” che vi farà innamorare.

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Nato dalla sapienza enogastronomica dei soci de Il Santo Bevitorequesto forno-bistrot è una chicca dell’Oltrarno, in cui si possono trovare, disposti in scaffalature di legno, oltre alle prelibatezze sfornate da Leonardo e Milena, moltissimi prodotti bio a km 0, tipici della regione, ma anche eccellenze della gastronomia italiana, come i pelati S. Marzano, i succhi di mela del Trentino, la pasta Martelli, le conserve di Mariangela Prunotto. In quella Firenze che a volte sa essere troppo turistica a scapito della qualità, nelle viuzze e nelle piazze di questo quartiere si sta assistendo a una riscoperta dell’artigianalità, con attenzione ai prodotti locali e alla genuinità delle materie prime usate.

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Nel fondo di uno storico forno di quartiere (con alle spalle ben 150 anni di attività!), l’architetto Saverio Innocenti, autore già del restyling di numerosi bar-ristoranti nel capoluogo toscano e non solo, ha creato uno spazio che unisce il calore della tradizione ad un pizzico di contemporaneità, a metà fra il forno tradizionale e il bistrot alla francese. Qui infatti il pavimento in cotto grezzo e le volte dall’intonaco “sbucciato” sono quelle originali del vecchio forno, così come l’insegna che porta il sapore delle cose del passato. Tutti i mobili e gli arredi sono vintage, hanno una lunga storia alle spalle, una storia di arti e mestieri, che l’antiquario Luca Rafanelli della vicina Via dei Serragli ha saputo tramandare fino ai nostri giorni: il banco da macellaio, il tavolo ottagonale con i suoi cassettini di un orafo, un segna-presenze di un convento, le librerie e gli sgabelli con la loro bellissima patina data dal tempo.

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All’interno ci accoglie il bellissimo tavolo da macellaio  in legno, di quelli che hanno visto passare la storia, su cui trovano posto i salumi e i pecorini e un bancone con splendide vetrine dietro alle quali focacce, torte di ogni tipo, muffins, e molto altro strizzano l’occhio anche ai più salutisti. Il grande protagonista è ovviamente il pane dal più classico toscano a quelli a pasta madre a lunga lievitazione o ai cereali; ma non solo, schiacciate toscane, cecine, pizze e pani e dolci stagionali come la schiacciate con l’uva e alla fiorentina, pan di ramerino, cenci di Carnevale e frittelle di riso. Moltissime anche le proposte per la colazione e il pranzo: dal tradizionale pane e marmellata a plum cake e crostate frangipane, da panini con salumi tipici a quiches di verdure e crostoni fumanti, ce n’è per tutti i gusti.

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Un segna-presenze proveniente da un convento

Ogni dettaglio al S.forno è curato nei minimi particolari, dalle lampade che illuminano i tavolini, agli sgabelli scortecciati dal tempo, dalla lavagna di scuola su cui ogni giorno i fornai scrivono le specialità servite per la colazione e il pranzo, ai quadri appesi alle pareti, dai tavolini in ferro ai fiori sempre freschi nelle bottiglie di vetro.

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Per me andare dal S.forno è sempre una piccola coccola, un modo per farmi un regalo e assaggiare i deliziosi prodotti, sempre diversi e sempre buonissimi, che questo storico forno sa offrire, reinventato e rinnovato senza aver perso la sua vera essenza.


S.forno, panificio

Via di Santa Monaca 3/r

Firenze

Koto Ramen, un pizzico di Giappone a Firenze

foode-designCome prima coccola del nuovo anno ho deciso di concedermi un bel pranzetto da Koto Ramen, una delle ultime mie scoperte nel panorama etnico fiorentino. Aperto ormai da quasi un anno, entrare in questo locale è una vera esperienza.  Per chi di voi ancora non lo conoscesse il ramen è un piatto della tradizione popolare cinese, assorbito e reinterpretato dalla cultura giapponese, che lo ha fatto proprio. E’ così diffuso in Giappone che ogni località dell’arcipelago ne ha una propria variante. In sostanza è un piatto a base di tagliatelle di frumento servite in brodo di carne o pesce, spesso insaporito con salsa di soia o miso e accompagnato con carne, alghe, cipollotti e verdure varie. 


E’ un cibo dall’aspetto povero, apparentemente semplice da realizzare ma che in realtà, come la maggior parte dei piatti della tradizione giapponese, richiede il rispetto rigoroso delle fasi di preparazione e l’utilizzo di ingredienti precisi, quasi un concentrato di filosofia Zen, come il design minimalista del locale. 

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photo credits: Koto ramen

Gestito da quattro giovani ragazzi dal background eterogeneo, provenienti dai quattro angoli del globo, il concept del locale rispecchia la filosofia che sta alla base del piatto di cui porta il nome: minimale e contemporaneo, tutto è lasciato a vista, come gli ingredienti che vengono disposti accuratamente nelle ciotole piene di brodo e tagliolini.

All’interno ci accoglie una cucina a vista, in cui lo chef giapponese Shoji e il suo staff fanno uscire scodelle fumanti piene di ogni ben di Dio; all’ingresso le pareti bianche incorniciano il bancone sopra il quale, su quattro pannelli retroilluminati, sono dipinti gli ideogrammi ラーメン che formano la parola ramen. Alla nostra destra troviamo un lungo tavolo alto con sgabelli in metallo nero (simili ai Tolix), dedicato ai più “social” che amano condividere il bancone con altri o per chi desidera consumare un pasto velocemente. Sopra di esso è collocata una grande lavagna, come quelle che si vedevano nelle scuole qualche anno fa, dove appaiono scritte le istruzioni meticolose per gustare al meglio il ramen. La stanza è delicatamente illuminata da una lampada a bulbo, una delle tante disseminate per tutto il locale, che pende dal soffitto in legno e da all’ambiente un tocco industriale.

Lo stesso mood industriale è dato da una parete in cui la muratura è lasciata a vista, coperta semplicemente da un velo di bianco che lascia intravedere i mattoni e separa l’ingresso dalla sala vera e propria. Qui sono collocati i tavoli quadrati in legno chiaro e ferro su cui immancabilmente sono posati i bastoncini di bambù, riuniti insieme in un unico fascio quasi a formare una scultura in legno che ricorda il gioco del Mikado. Spogliato del controsoffitto è anche il solaio a travi lignee, lasciato a vista e sbiancato, da cui pendono, come stelle cadenti, le lampade a bulbo, segno di riconoscimento del locale.

Il concept del ristorante ruota tutto attorno a pochi e semplici materiali: il legno chiaro del parquet posato in diagonale e dei tavoli, il nero delle sedie e dei tocchi metallici delle travi a vista, il grigio del setto in cemento, il bianco delle pareti da cui traspare la muratura in mattoni. Pochi e sporadici i frammenti di colore, lasciati alle stampe giapponesi appese alle pareti e alla scritta a neon fuxia che dona carattere e contemporaneità al locale.

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Da Koto ramen non si gustano solo fumanti tagliolini in brodo di carne, ma anche sfiziosi gyoza, croccanti tempure e piatti stagionali, in cui la tradizione giapponese si fonde con ingredienti tipici della cucina toscana e italiana in generale, come tartufo, carne di Chianina o dolci a base di frutti autunnali come il diospero. Provare per credere!

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Shoyu Ramen
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Miso Ramen
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Ramen asciutto con macinato di maiale, germogli, peperoni e funghi

Koto Ramen

Via Giuseppe Verdi n. 52/r

Firenze

Strozzi Caffè, il bar del Palazzo

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Ormai quasi un anno fa, lo studio Rosso19 di Firenze, fondato dagli architetti Tommaso Rossi Fioravanti e Barbara Monica, ha inaugurato questo caffè-ristorante all’interno del cortile di uno dei più importanti palazzi fiorentini: Palazzo Strozzi.

In questo progetto, data la particolare location, l’accoglienza ha acquisito un’accezione particolare: un locale aperto al pubblico che fonde insieme arte, passione per il cibo e il vino, degustazioni e proiezioni in tema con le mostre ospitate nel palazzo.

La sala interna, caratterizzata da un soffitto a volte a botte lunettate con capitelli, al fine di permettere un’ottimale fruizione dello spazio senza però compromettere il disegno unitario dell’ambiente, è stata divisa da un diaframma, una grande scaffalatura porta bottiglie in ferro scuro che separa visivamente la zona delle cucine da quella della sala, donando carattere a tutto il progetto.

Questa parete funzionale, con le sue nicchie che ospitano non solo bottiglie di vino e champagne ma anche libri di cucina e punti luce, è caratterizzata da pannelli retroilluminati dimmerabili, che possono cambiare colore durante le varie ore della giornata per adeguarsi al “clima” del locale: luce bianca la mattina, più calda per la pausa pranzo e luci soffuse e rilassanti per l’ora dell’aperitivo.

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Il bancone centrale con sgabelli alti About a Stool by Hay, lampadari Wireflow chandelier by Vibia

L’atmosfera calda e accogliente data dal colore delle pareti e del legno, è esaltata dall’illuminazione delle lampade e dal pavimento in parquet nero, dalla texture mossa ma allo stesso tempo neutra e discreta (Kerakoll Design House)

Vero protagonista è il bancone bar; posto in posizione centrale e rivestito in pannelli di acero americano naturale, è attraversato da una banda in ferro in cui brilla il nome del locale in acciaio cromato; gli sgabelli in legno nero e polipropilene, dal mood nordico, sono  della serie About a Stool dell’azienda danese Hay.

Contrapposta alla parete in ferro, una lunga banquette in tessuto “tattile” tono su tono con le pareti a calce grigio chiaro, copre tutti i lati del locale invitando gli avventori ad una sosta più calma. Una lunga barra di ferro, linea scura che nasconde una scia luminosa, corre lungo tutte le pareti, fungendo anche da supporto per quotidiani, riviste e cataloghi delle mostre ospitate ai piani superiori. All’ingresso due mobili incorniciano l’accesso e fungono da espositori per i prodotti della Maison Bereto.

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Grande importanza è stata riservata dai progettisti al disegno della luce, che qui svolge un ruolo fondamentale; un’illuminazione più puntuale, data dalle lampade da tavolo della serie Muffins di Brokis, disposte in varie zone del locale, si fonde con la luce di due eleganti lampadari dalla struttura filiforme (Wireflow by Vibia) che si sparge in tutto l’ambiente, evidenziando la bellezza della volta e il colore vibrante delle pareti.

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Mobili e tavoli in legno chiaro e ferro, disegnati su misura e sedie Panton by Vitra
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Lampada da tavolo Muffins by Brokis

Esternamente, sotto le volte a crociera del cortile, sono stati progettati due dehors simmetrici; lo stesso parquet che troviamo all’interno copre qui le pedane su cui sono collocate le poltroncine in tessuto grigio e i tavolini in legno chiaro e ferro.

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Strozzi Caffè, Colle Bereto Winery

Cortile di Palazzo Strozzi

Piazza Strozzi, 1

Firenze

Carduccio, il salotto bio dello Sdrucciolo

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photo credit: Carduccio

In una strada stretta dal nome evocativo, Sdrucciolo de’ Pitti, che collega Via Maggio con Piazza Pitti appunto, si trova Carduccio, un piccolo bar ristorante biologico e vegetariano. Qui si servono frutta e verdura di ogni tipo (sempre di stagione ovviamente), cucinata sotto forma di insalate gustose, fumanti zuppe accompagnate da croccanti pepite di pane speziato, pinzimonio, sformati, crostoni caldi, estratti, smoothies e molto altro.

Carduccio ingresso

Carduccio logo

Appena entrati si viene accolti dal profumo dei piatti preparati da Miranda e Federica, le ragazze che gestiscono il locale. Tutto è a km 0, dalla frutta e la verdura in vendita all’ingresso, posta in cassette di legno, all’arredamento. Il bancone e gli sgabelli, disegnati su misura dai proprietari, sono stati realizzati partendo da un assito di legno recuperato dal pavimento di un vecchio negozio di Corso Tintori, una via a pochi minuti a piedi dal Carduccio. I tavoli, le sedie e le lampade invece provengono da negozi di antiquariato della regione, tutti in legno e ferro battuto, rigorosamente di recupero. Il servito da the è di porcellana originale inglese, vintage e raffinato.

Insalata di lenticchie, cetrioli, pomodori e cipollotto
Crema di zucca con pane croccante al curry
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Polpette di ceci e barbabietola su vellutata di spinaci e cumino
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Una tisana bio servita nelle tazze vintage inglesi

Una parola in più va spesa per il loro caffè: una miscela proveniente dal Perù, 100% arabica, selezionata da una torrefazione di Livorno, biologica e dal gusto intenso e aromatico, con note di miele e mandorla tostata. Da bere esclusivamente senza zucchero!

Se avete voglia di scaldarvi in una fredda giornata d’inverno, con una tisana rilassante o una zuppa saporita, Carduccio farà al caso vostro.


Carduccio- il salotto Bio

Sdrucciolo de’ Pitti, 10r

Firenze

Ai Weiwei, libero per davvero

architectureFinalmente dopo diverso tempo sono riuscita a visitare la mostra di Ai Weiwei a Palazzo Strozzi. Inaugurata il 23 settembre dalla Fondazione Palazzo Strozzi, curata da Arturo Galansino, la mostra dedicata ad uno dei più controversi e provocatori artisti sulla scena contemporanea mondiale, ha fatto discutere già prima della sua apertura, dividendo critici e opinione pubblica. Sarà stata l’installazione di circa 22 gommoni rosso fiammante che incorniciano le finestre del piano nobile del palazzo, che nessuno fino ad oggi aveva osato toccare, sarà la pubblicità martellante che ne hanno fatto fin dai mesi precedenti, con la foto del volto beffardo dell’artista attaccato su tutti gli autobus della città, sarà che l’arte contemporanea a Firenze è ancora vista come uno spettro malvagio che possa defraudare della “pura” bellezza la culla del Rinascimento. Già qualche mese prima le statue giganti di Jan Fabre in Piazza Signoria, splendenti e dorate, avevano destato non poco scalpore; ancora oggi può capitare di sentirne parlare, e non sempre con toni di apprezzamento, ma d’altronde come diceva Oscar Wilde “Bene o male, purché se ne parli”. 

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Decidere di “svecchiare” la mentalità dei fiorentini non è cosa certamente semplice, ormai abituati a vedere fin dalla più tenera età i capolavori del Brunelleschi, i volti rosei del Botticelli, la maestosità e lo sguardo penetrante del David di Michelangelo. Ma nel bene o nel male, l’arte non si è fermata al Cinquecento, si è evoluta, a volte in meglio, altre in peggio forse, non spetta a me dare un giudizio di valore,  ma ha mutato la sua forma. Ed è giusto che anche il gusto delle persone possa, con il tempo necessario, mutare. Penso che mostre come queste, con tutto il clamore che ne consegue,  siano necessarie, per permettere a tutti di sviluppare un proprio senso critico nei confronti dell’arte in generale.

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La mostra propone un percorso che coinvolge non solo tutto il palazzo, le cui sale sono state spogliate e “messe a nudo” mostrando tutta la loro bellezza, ma anche il cortile e la Strozzina, il piano seminterrato sede del centro di cultura contemporanea (CCC Strozzina). Realmente Palazzo Strozzi, depurato da tutti gli orpelli che solitamente caratterizzano gli allestimenti delle mostre – pareti divisorie, controsoffitti, quinte, tende – si presenta in tutto il suo splendore, portando alla luce le volte a crociera e i capitelli corinzi, i caminetti in pietra, maestosi e quasi fuori scala rispetto alle sale, esposti come se anche loro, prepotentemente, volessero farsi vedere, nascosti per anni dietro pareti scure. Il palazzo diviene così un unico grande spazio espositivo che esalta una delle caratteristiche proprie dell’arte di Weiwei, il rapporto tra tradizione e modernità, in un luogo-simbolo della storia della città.  

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Tra installazioni monumentali, sculture, oggetti “feticcio” della sua carriera, video e serie fotografiche, si viene immersi completamente nel mondo artistico e personale dell’artista cinese. Le opere esposte seguono la sua crescita artistica, spaziando dagli esordi newyorkesi tra gli anni Ottanta e Novanta, in cui scopre l’arte dei suoi “maestri” Andy Warhol e Marcel Duchamp, alle grandi opere iconiche degli anni Duemila, fatte di assemblaggi di materiali e oggetti come biciclette e sgabelli, un ready-made  reinterpretato all’ennesima potenza, fino alle opere politiche e controverse (sulla situazione tibetana, gli abusi dei diritti umani, la censura, l’inquinamento, l’industrializzazione incontrollata) che hanno segnato gli ultimi tempi della sua produzione artistica, come i ritratti di dissidenti politici in LEGO – figure di rottura di ieri e di oggi (di cui fanno parte i quattro celebri fiorentini Dante, Filippo Strozzi, Savonarola e Galileo, esposti a Firenze) – o i recenti progetti sulle migrazioni nel Mediterraneo, di cui è parte l’installazione dei gommoni sulla facciata del palazzo, simboli di un orrore da esorcizzare, da lui stesso vissuto avendo assistito di persona ai drammatici sbarchi di migranti a Lesbo.

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Personalità provocatoria, Ai Weiwei si è imposto sulla scena internazionale come il più famoso artista cinese vivente, sempre muovendosi tra attivismo politico, opposizione ai governi e istituzioni e ricerca artistica, diventando un simbolo della lotta per la libertà di espressione, complice la sua spiccata capacità comunicativa attraverso i mezzi tipici dell’età contemporanea (i selfie che pubblica sul suo account Instagram, qui esposti, ne sono una dimostrazione). Nelle sue opere l’artista, sempre in bilico tra Oriente e Occidente, antico e contemporaneo, tra passato, presente e futuro, denuncia un rapporto conflittuale con il proprio paese d’origine, diviso tra un profondo senso d’appartenenza che emerge dall’utilizzo di materiali e tecniche tradizionali e un altrettanto forte senso di ribellione con cui manipola oggetti e simboli della cultura cinese, stravolgendone il significato e mostrando le contraddizioni tra individuo e società nel mondo contemporaneo.


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Un intento particolare, quello del curatore Arturo Galansino: «Ospitare una simile retrospettiva qui a Firenze significa pensare alla città come a una moderna capitale culturale, non soltanto legata alle vestigia del proprio passato ma finalmente in grado di partecipare in modo attivo all’avanguardia artistica del nostro tempo. L’aggettivo “libero”, che dà il titolo alla mostra, vuole riferirsi alla libertà riconquistata da Ai Weiwei nel 2015, ma anche al modo totalmente libero e creativo in cui l’artista ha utilizzato e interpretato gli spazi di Palazzo Strozzi». 

Libero di essere dissidente e anticonformista, e anche di aver decorato (o sfregiato, a seconda dei punti di vista), un simbolo “intoccabile” della città.


Ai Weiwei. Libero   (In mostra fino al 22 gennaio 2017)

Palazzo Strozzi

Firenze

MUDI_Nuovo Museo degli Innocenti

Il MUDI, nuovo Museo degli Innocenti, progettato da Ipostudio, studio di architettura con sede a Firenze fondato dagli architetti Carlo Terpolilli e Lucia Celle, ha aperto le porte al pubblico il 24 giugno 2016, nello storico complesso dello Spedale degli Innocenti in Piazza S.S.  Annunziata.

Lo Spedale fu il primo brefotrofio (struttura che accoglie e alleva i neonati illegittimi e abbandonati) d’Europa e una delle prime architetture rinascimentali al mondo, su progetto iniziale di Filippo Brunelleschi. Tuttora è una realtà complessa attorno alla quale ruotano innumerevoli funzioni legate al mondo dell’infanzia, tra cui due asili nido, una scuola materna oltre ad alcuni uffici di ricerca dell’ Unicef. Non solo patrimonio artistico e architettonico, ma anche memoria della città stessa; da un lato la storia dell’edificio è legata ad uno degli architetti più importanti del Rinascimento, dall’altro racchiude in sé il ricordo dei tanti bambini che qui sono stati accolti e cresciuti  fin dalla sua fondazione nel 1445.

Il progetto affronta la complessa vita dell’istituto, cercando di rilanciare questa organizzazione nel futuro, raccogliendo tutte le funzioni in un solo corpo: il Nuovo Museo degli Innocenti.

Gli interventi del progetto sono molteplici, ma possono essere riassunti in quattro azioni fondamentali: prima fra tutte la risoluzione dei problemi di accessibilità, sia dalla piazza SS. Annunziata, con la creazione di un nuovo accesso, identificato da due portali in ottone bronzato che si aprono con meccanismi ripresi dalle macchine teatrali, sia all’interno della struttura con la realizzazione di un nuova sala d’ ingresso in cui convergono una grande scala oltre all’ascensore. In secondo luogo la definizione di uno spazio museale idoneo, formato da 1456 mq di percorso espositivo disposto su tre livelli e da 1655 mq per eventi temporanei e attività educative¹.

Al piano seminterrato, attraverso una raccolta accurata di biografie e memorie dei bambini ospitati nella struttura, si racconta la storia e l’evoluzione dell’Istituto; al piano terra trova spazio il percorso architettonico che racconta lo sviluppo dello Spedale ripercorrendo i vari interventi di restauro che nel corso del tempo lo hanno portato ad assumere la conformazione attuale. Al secondo piano, sopra il portico di facciata, c’è la Galleria che ospita circa ottanta opere d’arte tra cui quelle di Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, Bartolomeo di Giovanni, Piero di Cosimo, Neri di Bicci, Luca e Andrea della Robbia e Giovanni del Biondo. Qui è posta una controparete che oltre a nascondere gli impianti diventa contemporaneamente supporto per i pannelli su cui sono esposte le opere, che all’occorrenza, possono essere spostati e assumere posizioni differenti per rendere lo spazio flessibile a nuove esigenze spaziali ed espositive².

Interessante è il tema dell’accessibilità e dei collegamenti verticali progettati all’interno del polo museale, punto focale dell’intero progetto. La scala in acciaio e pietra di Matraia sembra plasmata in un unico blocco di metallo sospeso nel vuoto. Il parapetto nasconde al suo interno una guida luminosa che invita il visitatore ad esplorare lo spazio e proseguire il percorso ai piani superiori. Il leitmotiv del percorso invade anche il corpo dell’ascensore in cui una scia di luce divide con un taglio il blocco bianco che nasconde gli impianti.

Il terzo intervento ha interessato la valorizzazione della terrazza quattrocentesca, il Verone, un tempo utilizzata per stendere il bucato e per lo svago dei bambini, trasformata in una nuova funzione pubblica, un caffè letterario, aperto non solo ai visitatori del museo ma a tutta la città: la  struttura in legno e vetro è caratterizzata da grande flessibilità, permettendo allo spazio di mutarsi a seconda delle condizioni metereologiche.

Sedie Delta & tavolino Marisol by Vondom

Un percorso culturale legato al tema dell’infanzia incentrato prima di tutto sull’accoglienza, declinata nelle varie forme dell’accessibilità e dell’ apertura alla città. È stato così integrato il patrimonio archivistico della struttura con quello storico artistico, in un nuovo racconto che crea un filo invisibile con la storia dell’Istituto e di tutta Firenze.


MUDI_ Nuovo Museo degli Innocenti

Piazza della SS. Annunziata, 13

Firenze


[1]: Cfr.  MUDI

[2]: Cfr. Edilizia e Territorio_Sole24ore

#Raw. Un angolo di Scandinavia in Oltrarno

foode-designIn uno dei quartieri più veraci di Firenze, S. Spirito, che negli ultimi anni é stato oggetto di grande rinnovamento, diventando tra le zone più interessanti della movida e dello shopping fiorentino, sempre a metà tra l’indie e il sofisticato, sorge questo piccolo ma accogliente scorcio di Scandinavia. #Raw non è solo un ristorante, juice bar vegano ma un vero e proprio paradiso rigorosamente cruelty free e raw appunto (letteralmente “crudo” in inglese, cioè senza cottura, crudista). Oltre ad estratti di frutta e insalate variopinte, potete trovare burger, rice wrap, insalate di quinoa e grano saraceno, dolci, budini, smoothies, gelati, tutto dal sapore strepitoso. Ma non è solo la gola ad essere appagata in questo piccolo ristorante; ogni cosa è curata nei minimi dettagli, dall’arredamento al packaging, tutto all’insegna del healthy & eco in puro stile scandinavo.

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All’interno tra un “bosco” di betulle candide, ci accoglie un bancone in legno chiaro e vetro, dalle linee semplici ed essenziali in cui trovano posto le leccornie colorate che Caroline e le sue ragazze preparano ogni giorno. Dello stesso materiale  sono anche i tavoli e gli sgabelli, anch’essi progettati su misura con un design funzionale dal mood nordico. Le pareti e il soffitto sono “decorate” da una rete elettrosaldata a cui sono legati morbidi cuscini; dietro questa gabbia di metallo, strisce di tessuto bianco creano delicati giochi di luci e ombre. Quà e là pendono radici di zenzero e nuvole di muschio, sui tavoli candele bianche dentro barattoli di vetro aiutano a creare un’atmosfera accogliente e rilassante.

Raw

Entrare da #Raw è un’esperienza che soddisfa tutti e cinque i sensi: la vista, per i colori dei piatti e il candore delle pareti; il tatto, per la superficie liscia e levigata dei tavoli contrapposta alla dolce ruvidezza delle betulle; l’udito, per il piacere del silenzio e del relax del jazz in sottofondo; l’olfatto, per l’odore inconfondibile del cocco e dei datteri con cui la proprietaria prepara i dolci; il gusto per la scoperta di sapori e di ingredienti nuovi, abbinati in maniera sempre diversa e sfiziosa. (Raw) comfort food  in a comfort place.

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Veg burger con tapenade di carote
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Insalatona con lenticchie, quinoa, grano saraceno e verdure miste
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Raw vegan gelato: Banana e vaniglia & Lavanda
Pumpkin cake
Pumpkin cake con curcuma, zenzero e agrumi
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Raw vegan gelato: Cioccolato crudo & Banana e vaniglia

#Raw

Via S. Agostino, 11r

Firenze